– Zlatan Ibrahimovic-“l’essenza del cristianesimo” , Ludwig Feuerbach

“Non posso che compiacermi di quanto sono perfetto”. Zlatan Ibrahimovic.
Cosa c’è di più metafisico di un dio che non pensa nulla di inferiore a se stesso ? Cosa c’è di più metafisico, nel nostro universo calcistico, di Zlatan Ibrahimovic? In una cultura sportiva dominata dall’etica protestante del lavoro e dell’umiltà la figura dello svedese spicca per la disinvoltura con cui non esita ad affermarsi causa prima dei successi propri e dei suoi compagni, non tenendo mai da conto fattori che non siano strettamente legati alla sua volontà . Il suo pellegrinaggio vincente , oltre a soddisfare le sue esigenze economiche, gli ha consentito in carriera di dar prova coi fatti di un’ onnipotenza che sente addosso sin dai primi calci nel parco di Rosengard, nella periferia di Malmoe. Suo padre, racconta Zlatan: “Era dotato di un orgoglio smisurato che lo metteva bene in guardia dal chiedere aiuto a qualcuno” E anche lui, partendo dalle sue origini, ha sviluppato un modo tutto suo di sentirsi solo: una sensazione di rotondità e interezza su cui ha fondato il proprio modo di essere e di giocare a calcio, con un alto tasso di autoironia mai banale in un calciatore.
“Non è stato dio a creare l’uomo bensì l’uomo a creare dio”,
scriveva Feuerbach in polemica con la filosofia del suo tempo, accusata di essere una trasposizione laica della teologia. Un rovesciamento che si presta bene a sunto della carriera di Zlatan: “Non è mai stato il contesto a determinare Ibrahimovic ma sempre Ibrahimovic a determinare il contesto” qualunque esso fosse. Una consapevolezza profonda che farebbe scivolare la maggior parte degli uomini in un eccesso di alterigia controproducente e che invece Ibra ha plasmato a suo vantaggio tappa dopo tappa, accentrando su di sé un carico di responsabilità e aspettative non da poco.
Se il suo carattere non lo ha portato alla deriva di un narcisismo compulsivo lo deve paradossalmente alla comprensione dei suoi limiti e a una visione globale del calcio che fa di lui un attaccante tutt’altro che egocentrico nel suo modo di intendere il ruolo: nel corso del tempo il suo gioco è diventato sempre più essenziale e buona parte del merito spetta al suo primo allenatore italiano: Fabio capello. Il quale parlando di lui ha tracciato un profilo abbastanza sorprendente rispetto al l’immaginario comune:
“Quando arrivò alla Juventus non sapeva calciare, però sapeva ascoltare e questa è una cosa fondamentale”.
Alla luce di chi lo conosce, più che di onnipotenza Zlatan ci fa mostra di una continua attestazione di unicità e indipendenza, la stessa che Feuerbach esige da parte dell’uomo rispetto a dio: un rapporto che rovesciandosi libera le sue energie più creative e lo rende per la prima volta autentico padrone di sé.
Alla domanda di un giornalista su quale fosse il suo idolo Ibra ha risposto: “Muhammad Alì”, perché “era perfetto nel suo saper fare quello che prometteva e nessuno ha mai potuto dire che Alì era uno che parlava e basta. Un giorno vorrei si potesse dire la stessa cosa di Zlatan Ibrahimovic e per questo prometto quello che posso:cioè di giocare sempre il mio calcio.”
In un epoca di spaesamento per un dio che è morto ed un uomo che non è ancora all’altezza della sua sostituzione , il gigante di Malmoe è la perfetta realizzazione del calciatore che accoglie fieramente lo spirito di un dio su di sé, e nel farlo pone a sé stesso un destino e dei compiti grandi. In controtendenza a un panorama contemporaneo in cui assistiamo spesso a all’incapacità generazionale dei nuovi calciatori di imprimere un marchio di personalità ad un calcio sempre più modellato su”un etica protestante del lavoro e della fatica” dove il risultato è l’unica cifra universalmente valida senza la quale ogni affermazione e atteggiamento sopra le righe paga lo scotto della gogna mediatica, onnipervasiva quasi quanto un dio; la stessa che non perde mai occasione di rinfacciare a Ibrahimovic la mancata vittoria di una Champions league con l’allusione di essere un giocatore che accentra troppo la squadra sul proprio gioco . Quel che è certo, finché Zlatan non deciderà di smettere , è che bisogna guardarsi bene dal dare un dio per Finito! E con un contratto coi Galaxy in scadenza a dicembre e un possibile rientro in Italia… mai dire mai.



