-Zdenek Zeman nel “De Infinito” di Giordano Bruno

“Sicome la nostra imaginazione è potente di procedere in infinito, imaginando sempre grandezza dimensionale oltra grandezza e numero oltra numero, secondo certa successione e, come se dice, in potenzia, cossì si deve intendere che Dio attualmente intende infinita dimensione ed infinito numero. E da questo intendere séguita la possibilità con la convenienza ed opportunità, che ponemo essere: dove, come la potenza attiva è infinita cossì, per necessaria conseguenza, il soggetto di tal potenza è infinito”
La paura che incute la dimensione dell’infinito spinge l’uomo dentro a un sistema finito, comodo e rassicurante.
Al vertice di questo sistema un motore immobile muove le sfere inferiori e ne garantisce l’essenza, in un processo di emanazione attraverso cui tutte le stelle dell’universo obbediscono alla volontà di una sola e nessuna brilla di luce propria. Una volta rotta la muraglia di questo mondo statico, che il mondo cristiano ha ereditato dal sistema cosmologico di Aristotele, Giordano Bruno si apre alla prospettiva di un cosmo infinito dentro al quale ogni stella e ogni corpo reclamano la stessa “dignità ontologica” di Dio affermando che Dio è in ciascuna parte di essi, e in ciascuna nella stessa misura.
In un’atmosfera culturale simile Zdenek Zeman iniziò a farsi strada all’interno del sistema calcio italiano: un sistema retto sul potere economico di poche stelle tra cui una in particolare, la Juventus, sembrava svolgere la medesima funzione del motore immobile aristotelico: un vero e proprio demiurgo che (nell’ottica zemaniana) plasmava la serie A a sua immagine e somiglianza lasciando agli altri le briciole dei suoi successi. Il boemo si impegnò dentro e fuori dal campo per cercare di scalfire il monopolio bianconero e costellare il nostro calcio di stelle piccole e luminose, dotate di materia viva e mai inerte al sistema; squadre in grado di giocarsela contro ogni avversario in base a un atteggiamento tattico da molti considerato scriteriato, ma certamente rivoluzionario in un calcio in cui il conservatorismo tattico pagava discretamente. Il suo Foggia dei miracoli della prima stagione in serie A (1991-1992) ne è forse la concretizzazione più riuscita, paragonabile al De infinito, opera più rappresentativa del filosofo campano, dove Dio viene pensato come “energia del mondo” che è ovunque e in atto in ogni corpo così che ognuno la può ritrovare in sé. Allo stesso modo Zeman concepisce il calcio: una fonte di espressione che appartiene a tutti e di cui nessuno può sentirsi padrone. Battersi in solitudine all’interno di un sistema chiuso, quello clericale Bruno e quello calcistico Zeman, per aprirlo e liberarlo dalla stagnazione del dogma centrale, è stato il comun denominatore di entrambi. Zeman, nelle sue battaglie che vanno dal doping al calcio-scommesse, ha sempre messo la faccia per contribuire allo sviluppo di un sistema calcistico più equo, trasparente e propositivo; Giordano Bruno ha calcato l’intuizione Copernicana dell’eliocentrismo nel tentativo di attuare una rivoluzione cosmologica ma soprattutto culturale che portava con sé l’interrogativo: “se l’universo è infinito noi come possiamo pensare l’uomo e la sua posizione nel mondo come prima?”; rivoluzione che ha messo in crisi i fondamenti stabili su cui si poggiava la ragione umana e di cui l’uomo forse non è ancora all’altezza nemmeno oggi.
La loro tenacia gli ha permesso di non sprofondare nella tentazione di negare un mondo a loro ostile, osservandolo semplicemente dall’esterno, ma di lavorare senza sosta per comprenderlo e trasformarlo, pur consapevoli del rischio di restare incompresi nella migliore delle ipotesi, epurati nella peggiore: emarginato in realtà calcistiche minori il boemo, bruciato nel rogo di Campo de’ Fiori il filosofo di Nola. Come una formica è considerata da Giordano matrice di vita per l’universo alla pari del leone, Zeman ha dimostrato che una matricola di provincia può essere matrice di spettacolo ed emozioni, quanto o più delle compagini ricche e blasonate. Eredità diverse di due personalità indipendenti e ostinate, che arrivate entrambe dalla provincia, hanno aperto delle faglie nei rispettivi “sistemi centrali” aiutandoli a crescere e ad interrogarsi, finendo entrambe ad ingoiare la pillola amara della solitudine.



