In Premier League tiene ancora banco l’esonero di Claudio Ranieri, probabilmente il più clamoroso degli ultimi anni. Tanto che una parata di star vecchie e nuove del pallone esprime il proprio endorsement nei confronti del tecnico romano, autore della più grande impresa calcistica degli anni Duemila. Ad attaccare la dirigenza del Leicester con particolare furore in questi giorni è Gary Neville, che senza mezzi termini parla di una “disgrazia” e accusa: “Esonerare un allenatore a stagione in corso è semplicemente ingiusto“.
Premettiamo che nel calcio inglese, diversamente che in quello italiano, gli esoneri in corso d’opera sono piuttosto infrequenti. Nella stagione scorsa ha fatto scalpore quello di José Mourinho dal Chelsea, ma lì intervennero una miriade di componenti (caso-Carneiro fra gli altri). Per il resto, se ne ricordano pochi e anzi fanno più notizia gli allenatori che restano al loro posto da anni anche senza vincere nulla e guadagnandosi i malumori della piazza. Ogni riferimento ad Arsene Wenger è puramente casuale. A ogni modo non lo neghiamo: prendersela coi tecnici per gli scarsi risultati della squadra è spesso odioso perché troppo semplice. Dietro un allenatore che fallisce c’è di norma una società, che fa altrettanto. Ma c’è da dire che molte società nostrane usano il tecnico come il classico parafulmini o capro espiatorio, pronto al sacrificio per placare una tifoseria inferocita.
Detto ciò, bisogna comunque guardare anche ai singoli casi. Quando una squadra improvvisamente risorge dopo la cacciata dell’allenatore, come accade al Leicester, è evidente l’esistenza di un problema. Si vede che i giocatori non credevano più nella loro guida oppure erano in ostilità con lui. Non dovrebbe succedere, ma è così. Soprattutto se la società non ha le risorse per rivalersi sullo spogliatoio piuttosto che sulla panchina. Ranieri quindi mandato via giustamente? Nient’affatto. Ma nel calcio la giustizia e la riconoscenza non sono sempre di casa.