Una cosa è certa e indubitabile: Carlo Tavecchio ha vinto ancora una volta le elezioni per la presidenza della FIGC. Ma cosa certa e indubitabile è anche questa: non ha stravinto. Il suo 54% di voti contro il 46% dello sfidante Andrea Abodi, ottenuto solo alla terza votazione, rende conto di una spaccatura che non si può mettere da parte così, magari sotto un tappeto. Anche perché la fazione sconfitta avrà almeno 7 seggi su 21 nel Consiglio Federale, forse 8. Un problema, visto che per la promulgazione di una riforma occorrerebbero ogni volta 14 voti. Ma da dove arrivano i voti per il confermato presidente del calcio italiano? E perché intorno alla sua rielezione si è formato un piccolo ginepraio di polemiche?
Più che di pallone, parliamo di politica. Tavecchio partiva già con i favori del pronostico, forte del sostegno della Lega Nazionale Dilettanti e di gran parte della Serie A. Abodi aveva comunque ragione di sperare, grazie ai voti della Serie B (campionato che sotto la sua gestione sta vivendo un momento d’oro) e della Lega Pro. Decisivi quindi sono diventati i consensi dei protagonisti del gioco: giocatori, allenatori e arbitri. Ed è qui che si sono consumate le ultime faide in un calcio italiano mai, per così dire, pacifico.
L’Associazione Italiana degli Allenatori e quella degli Arbitri hanno infatti deciso di schierarsi dalla parte di Tavecchio. Con ovvie reazioni dalla parte opposta. Se da una parte Damiano Tommasi (presidente dell’Assocalciatori) attacca Renzo Ulivieri, dandogli velatamente del venduto, Abodi stesso ammette con costernazione di essere deluso dall’atteggiamento dei direttori di gara. Il voto di questi ultimi, diversamente da quello degli allenatori, non era in effetti nemmeno previsto: Marcello Nicchi ha fatto professione di neutralità in pratica fino al giorno prima dell’ultima votazione, per poi a sorpresa concedere al presidente FIGC in carica il suo bagaglio di consensi. Non tantissimi (circa il 2% del totale) ma abbastanza da far discutere, in tempi in cui ancora si parla di favori o sfavori sul terreno di gioco.
Premesso che la dialettica democratica si fonda proprio sulla lotta tra governi e opposizioni, l’impressione è che quella di Tavecchio è la classica vittoria di Pirro. Troppe, le divisioni che la sua rielezione comporta in seno del mondo del calcio italiano. Difficile immaginare a una riforma vera del nostro sistema in questa situazione, con tante ferite e diatribe ancora aperte. Tavecchio è al momento quello che gli americani chiamano “anatra zoppa“: sta a lui decidere se essere anche un gattopardo, barattando la sua posizione con compromessi che terranno l’Italia del pallone uguale a sé stessa.