31 anni fa: Live is life, Maradona palleggia!

31 anni fa: Live is life, Maradona palleggia!

Di momenti magici il calcio ne ha regalati tanti, tutto grazie a grandi protagonisti, grandi maghi di questo sport: grandi giocatori.

C’è solo un giocatore nella storia del calcio che può aver reso epico non una partita ma un riscaldamento. Diego Armando Maradona è stato questo, capace di far emozionare con la sua sola presenza; con un pallone vicino ovviamente.

E’ forse la più spettacolare manifestazione di totale libertà e tranquillità sportiva. Prima di una partita, il capitano del Napoli sta ballando. Nessuno mai si sarebbe sognato di farlo, lui invece sì. In quel momento, sportivamente parlando, era perfetto. Stiamo parlando del 19 Aprile 1989, 31 annni fa, Olympiastadion di Monaco, Bayern Moanco-Napoli, durante il riscaldamento gli altoparlanti dello stadio diffondo la canzone “Live is Life” degli Opus, un ritmo cadenzato condito dal canto della gente; una descrizione degna di un goal di Maradona. La partita è tesa, il Napoli ha vinto 2-0 al San Paolo e ora deve difendere il risultato, e Maradona sceglie questo gesto per far capire cosa sia il calcio per lui, come a dire “Tranquilli, sereni, danzate con me” e via e 1 e 2 e 3… LA LA LA LA LA, e via ancora e 1 e 2 e 3, palleggi a ritmo di musica, un inno alla’armonia, un inno al calcio, un inno a Diego Armando Maradona.

 

 

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Il Milan può vincere lo scudetto

I successi contro Sassuolo e Lazio, nonostante le numerose assenze, hanno confermato in maniera definitiva come questo Milan possa vincere lo scudetto. I ragazzi di Pioli, infatti, stanno andando ogni oltre aspettative e anche l’assenza di un totem come Ibrahimović (nelle ultime due sfide non è mancato solo l’attaccante svedese) non ha influenzato minimamente il gioco di una squadra che sta andando a memoria. Un gruppo forte, unito, con una precisa identità di gioco e la voglia di compiere un qualcosa di unico; nessuno, ad inizio stagione, considerava il Milan come una possibile candidata per il titolo. Giornata dopo giornata, però, i rossoneri si sono dimostrati superiori, per quanto dice la classifica, a squadre come Inter e Juventus considerate favorite per la vittoria finale.

Ma quali sono i segreti del Milan? Nonostante quanto si possa pensare questa squadra non dipende solo dalle giocate di Ibrahimović ma sono tanti i punti di forza a partire da Donnarumma che, mai come in questa stagione, sta dimostrando di essere uno dei portieri più forti nel panorama europeo. In difesa il leader è, senza dubbio Romagnoli, ma il reparto arretrato ha acquisito sicurezza con l’arrivo di Kjær; l’ex Roma, da quando è sbarcato a Milano, ha portato forza fisica, abilità nell’anticipo e quella giusta dose di cattiveria. In mezzo al campo la coppia Kessié-Bennacer forma una diga perfetta in grado di garantire quantità e qualità al centrocampo rossonero. In ultimo, ma non per importanza, non possiamo non parlare di Çalhanoğlu passato dall’essere elemento fuori contesto a uomo in grado di risolvere la partita in qualsiasi momento specie alla sua abilità nei calci piazzati.

I principali meriti, però, vanno attribuiti esclusivamente a Stefano Pioli; il tecnico, da quando è arrivato sulla panchina del Milan, ha cambiato radicalmente volto alla squadra prendendosi anche qualche rivincita a livello personale. Il suo Milan corre e ora vuole arrivare fino alla fine per tagliare il traguardo.




Dove ha sbagliato lo Sheffield?

Dove ha sbagliato lo Sheffield?

Da meravigliosa cenerentola della Premier League a brutto anatroccolo, che è successo alle Blades? Come hanno fatto i ragazzi di Wilder a passare dall’essere una compagine complicata da affrontare all’essere la squadra cuscinetto del campionato? E tutto in appena due mesi.
Facciamo un salto temporale e torniamo al 27 maggio 2019: si conclude la Championship 18/19 ed in Premier League vengono promosse direttamente Norwich e Sheffield, mentre l’Aston Villa batte il Derby County e sale in massima lega inglese tramite playoff. In estate si progetta la nuova stagione ed allo Sheffield non è diverso, il tecnico Chris Wilder siede insieme alla dirigenza delle Blades e tutti insieme decidono come operare per rinforzare la squadra: mantenere lo zoccolo duro che li ha condotti in Premier League, allungare la panchina con un paio di nomi ed investire pesante solo in attacco. Lo Sheffield si presenta allo start della nuova stagione con solo due pezzi da novanta come McBurnie e Mousset arrivati dal mercato, più i nuovi gregari Osborn, Robinson, Freeman e Jagielka che siederanno più in panchina che altro. Mossa azzeccata? Per molti no, gli analisti e gli opinionisti bocciano la scelta di fare un mercato mirato con pochi nomi, ma Wilder a quanto pare la sapeva più lunga di tutti. Lo Sheffield sorprende tutti ed inizia a macinare punti, Bramall Lane diventa in pochissimo tempo una fortezza inespugnabile ed il campo più ostico dell’intera Premier League: le Blades si chiudono, serrano le fila e ripartono, affondano i tackle e governano le seconde palle. Insomma, tutti fanno dietrofront e si congratulano con Wilder per l’ottima annata dello Sheffield (arrivato 9º in classifica), tanto che a fine stagione i biancorossi avranno conquistato 54 punti figli di 39 gol fatti (15º attacco della lega) e 39 subiti (4ª miglior difesa). Tutto molto bello, lo Sheffield archivia l’ottima stagione 19/20 e dirigenza e tecnico si apprestano in estate a riunirsi per studiare le mosse da fare sul calciomercato… e qui avviene il delitto.
Wilder e i dirigenti stavolta la fanno grossa, scelgono di replicare il mercato fatto l’estate prima non considerando, o peggio sottovalutando, alcuni fattori troppo importanti: lo Sheffield ha ben figurato spesso overperfomando ed ha una rosa con un’età media troppo in là con gli anni per sostenere un’altra stagione giocando ogni tre giorni. Le Baldes a fine mercato avranno portato in rosa il solo portiere Ramsdale come elemento di livello, in più saranno arrivati i giovani Brewster, Bogle, Lowe ed il veterano Burke… troppo poco, decisamente troppo poco per sperare di replicare la stagione precedente. Nemmeno a dirlo il campionato comincia e lo Sheffield si ritrova in un mare di guai: comincia con quattro sconfitte prima di pareggiare col neopromosso Fulham, poi altre otto sconfitte prima di un altro segno X questa volta ottenuto contro il Brighton, ed è così che i biancorossi si ritrovano a Natale con appena 2 punti conquistati in quattordici giornate ed un’ultima piazza in classifica che sembra proprio destinata a rimanere di proprietà dello Sheffield fino a fine stagione.
Se è vero che la speranza è l’ultima a morire per Wilder l’ultima spiaggia potrebbe essere proprio un’altra sessione di calciomercato, quella di gennaio: investire bene, investire pesantemente e provare a dare una sterzata ad una stagione che francamente sembra segnata.

 




Serie A, il futuro delle partite in tv è su Amazon Prime Video?

Serie A, il futuro delle partite in tv è su Amazon Prime Video?

Serie A, considerando il momento che stiamo vivendo anche la questione legata ai diritti tv del triennio 2021/24 è ferma ma è proprio in questi giorni stanno tornando forti le voci sul futuro scenario della trasmissione delle partite. Prendendo in esame la Premier League, possiamo vedere come Amazon, l’azienda di commercio elettronico statunitense, ha acquistato i diritti di ritrasmissione sulla sua piattaforma video Amazon Prime di 30 partite del campionato, con l’esclusiva di tutto il Boxing Day. Jeff Bezos, fondatore dell’impero di Amazon, sembra proprio voler includere anche la nostra Serie A.

Come già riportava Milano Finanza, in un articolo a firma di Andrea Montanari, anche Amazon starebbe studiando il dossier relativo ai diritti tv della Serie A. La concorrenza sarà con Dazn, che già si è affermato nel nostro Paese da 2 anni, e ovviamente Sky, che detiene attualmente il pacchetto maggiore di partite trasmissibile del campionato.

Nelle ultime assemblee di Lega il tema dei diritti tv non è stato affrontato ma sarà sicuramente argomento di conversazione delle prossime, considerando anche il fatto che, a causa della pandemia e dello slittamento del campionato sono susseguiti numerosi danni economici, perciò è facile aspettarsi che le società e la Lega Serie A stessa vorranno rimpinguare le loro casse.




Il problema del Bayern Monaco

Il Bayern Monaco, con il successo all’ultimo secondo sul campo del Leverkusen, ha chiuso l’anno da primo in classifica; grande protagonista del match il solito Lewandowski, autore di una doppietta. La prestazione del centravanti polacco ha mascherato una squadra che, complice il poco tempo a disposizione tra la fine della scorsa stagione e l’inizio di quella attuale, sta vivendo un momento di difficoltà. I ragazzi di Flick, infatti, faticano ad imporre il loro solito gioco e subiscono molto di più le offensive degli avversari; situazione prevedibile ma che deve essere superata il più in fretta possibile perché il Lipsia non sembra mollare e in Champions League la Lazio, nonostante sia nettamente inferiore, non avrà nulla da perdere.

Il principale problema, e forse anche unico, dei bavaresi riguarda la difesa; il reparto arretrato non riesce a garantire le stesse certezze. Nell’ultimo turno, davanti a Neuer, erano presenti Sule, Hernandez, Boateng e Davies con Alaba a centrocampo complice l’infortunio di Goretzka e le non perfette condizioni di Kimmich. I quattro non hanno disputato una brutta partita (la rete di Schick è una vera e propria perla dell’attaccante) ma in alcune circostanze si è avuta l’impressione di come il reparto fosse scollegato rispetto al resto della squadra e non riuscisse ad avere le distanze giuste nei confronti degli attaccanti avversari. Un problema che persiste da troppo tempo e su cui la squadra deve, per forza di cose, lavorare. L’ultima volta in cui Neuer non ha subito gol è stata il 24 ottobre nel cinque a zero contro l’Eintracht Francoforte; da allora undici reti in otto partite.

Il Bayern Monaco resta la principale favorita sia in Bundesliga sia in Champions League ma il problema difesa rischia di diventare serio; Flick, in questa mini pausa natalizia, dovrà lavorare su un reparto che potrebbe complicare il cammino della squadra più forte del mondo.




L’Everton e la voglia di sorprendere la Premier League

I quattro punti conquistati nelle ultime sei giornate, dopo un avvio con quattro vittorie consecutive, aveva smorzato l’entusiasmo a Goodison Park riportando la squadra con i piedi per terra. I Toffees, invece, hanno reagito nel migliore dei modi e i sette punti ottenuti contro Burnley, Chelsea e Leicester hanno restituito certezze ad una squadra che vuole restare in alto il più a lungo possibile. Pensare ad un percorso simile a quello del Leicester nel 2016, quando le Foxes hanno vinto una storica Premier League, sembra piuttosto improbabile ma i ragazzi di Ancelotti stanno dimostrando di avere le loro chance. Importante aver affrontato un momento di crisi nella prima parte di stagione quando gli errori sono ancora rimediabili e i punti persi pesano sicuramente di meno rispetto a quando arriveranno mesi decisivi come febbraio e marzo. L’Everton ha bisogno di continuità e le prossime due partite, contro Arsenal e Sheffield (squadre in difficoltà) possono essere determinanti da questo punto di vista.

Cosa hanno in più i Toffees rispetto alle principali pretendenti al titolo? A livello qualitativo praticamente nulla ma possono contare sulla voglia di compiere un qualcosa di grande che possa essere ricordato a lungo. Ancelotti ha costruito una squadra forte, difficile da affrontare e che si basa sostanzialmente su due moduli: il 4-3-3 o il 4-2-3-1. L’uomo con maggiore qualità, James Rodríguez, è stato la ciliegina sulla torta del mercato estivo e sta ripagando la fiducia della società con prestazioni di assoluto livello. Il giocatore più importante, però, è Dominic Calvert-Lewin; l’attaccante sta trovando una continuità realizzativa impressionante ed è il punto di riferimento nel gioco dell’Everton. Undici gol in tredici giornate e la voglia di trascinare la squadra il più in alto possibile. La stagione è lunga e sappiamo quanto la Premier League sia un campionato complicato ma i Toffees hanno tutta l’intenzione di essere il nuovo Leicester.




Danny Ings, il centravanti fuori dall’hype

Danny Ings, il centravanti fuori dall’hype

C’è sempre troppo poco hype intorno a Danny Ings, inspiegabilmente. Cominciamo facendo chiarezza, che cosa significa hype? L’hype è l’eco che si porta dietro qualcosa o qualcuno, è l’aspettativa spasmodica che si crea nei confronti di una persona, di un evento o di un prodotto; per essere più chiari possibili, quando viene annunciato che Martin Scorsese dirigerà un film con Leonardo Di Caprio come protagonista automaticamente si crea un grosso hype intorno alla pellicola visto che coi nomi in ballo promette di essere un grande spettacolo. Un altro esempio, ancora più calzante: immaginate di essere un bomber di provincia e che nonostante la vostra squadra crei poche occasioni da gol voi comunque segnate spesso, in più siete un centravanti moderno che corre molto, che pressa gli avversari, che sa assistere i compagni di squadra mandandoli in gol e che all’occorrenza siete anche in grado di aiutare difesa e centrocampo rincorrendo l’uomo, ecco che quindi intorno a voi si creerà un grande hype e le big del vostro campionato inevitabilmente vi cercheranno per offrirvi un contratto… bene, questa non è la storia di Danny Ings, perché solo a lui non succede.
Ha veramente dell’incredibile questa storia, perché Danny Ings fa di tutto in campo per meritarsi complimenti e attenzioni ma a quanto pare continua a non interessare alle big di Premier League, tanto che fino ad ora se lo sono goduto solamente Burnley e Southampton. C’era stata una parentesi Liverpool per Danny Ings, anzi qualcosa di più di una parentesi, visto che ad Anfield ci ha “giocato” per tre stagioni dal 2015 al 2018, ma una lesione prima ed una rottura del ginocchio poi lo hanno tenuto lontano dai campi di calcio per un totale di 500 giorni, concedendogli in maglia reds appena 14 presenze e 3 gol in tre stagioni.
Sicuramente i gravi infortuni hanno condizionato la carriera di Ings, ma smaltiti quelli Klopp comunque non ha voluto dargli spazio ed ha preferito cederlo, e nonostante sia andato sul mercato a buon prezzo intorno al ragazzo c’è stata un’indifferenza che proprio risulta incomprensibile.
E allora che se lo continui a godere mister Hasenhuttl al Southampton, dove in 75 presenze il centravanti fuori dall’hype ha segnato ben 36 gol e siglato anche 8 assist.




Roma, la sconfitta di Napoli e le difficoltà contro le grandi del campionato

Il quattro a zero maturato in casa del Napoli, oltre ad essere una sconfitta pesante a livello numerico, apre un problema importante all’interno del campionato della Roma: le difficoltà nel vincere contro le grandi della Serie A. I ragazzi di Fonseca, fino a questo momento, hanno mostrato due volti: micidiali contro le medio-piccole e in crisi nei cosiddetti big match. Questo, se da una parte mostra una squadra implacabile nelle partite in cui deve obbligatoriamente conquistare i tre punti, dall’altra conferma i problemi quando si alza il livello di difficoltà. Due pareggi e una sconfitta con nove gol subiti: questo il bilancio dei giallorossi contro Juventus, Milan e Napoli.

Il match del San Paolo è stata la peggior prestazione stagionale dei giallorossi; squadra mai in partita e incapace di portare sul campo quanto preparato durante la settimana (aggressività nei confronti dei portatori di palla, ricerca della profondità e attenzione difensiva). La condizione di Dzeko e Pellegrini, rientrati da poco dopo aver contratto il coronavirus, e una difesa ridotta all’osso dopo l’infortunio di Mancini non può giustificare novanta minuti in cui la Roma non è mai scesa in campo. Fonseca dovrà lavorare sulle difficoltà riscontrate dai suoi contro le grandi perché, in una stagione come questa, vincere qualche scontro diretto potrebbe essere determinante nella corsa al quarto posto. Il problema più grande, riscontrato nella gara del San Paolo, è stato quello mentale; i giallorossi, dopo la perla di Insigne su punizione (Mirante ha qualche responsabilità), sono letteralmente spariti sciogliendosi come neve al sole permettendo ai padroni di casa di giocare senza nessuna resistenza.

Quello degli scontri diretti è un problema che Fonseca si porta avanti dall’anno scorso dove, esclusi i successi contro Milan e Napoli (affrontate in momenti decisamente complicati per rossoneri e partenopei), ha ottenuto risultati negativi. Da qui alla fine del girone di andata la Roma dovrà affrontare Atalanta, Inter e Lazio con la speranza di invertire un trend che vede i giallorossi in passivo.




Il mondo del calcio omaggia Maradona

Il 25 novembre 2020 sarà una data che difficilmente dimenticheremo; la scomparsa di Diego Armando Maradona è stata una vera e propria batosta per il calcio che sta già combattendo, come tutto il mondo, con il coronavirus. El Pibe de Oro è stato il calcio in tutta la sua essenza e ci ha lasciato dei ricordi meravigliosi dal riscaldamento sulle note di Live Is Life alla punizione, fuori da ogni logica, contro la Juventus di Tacconi fino a quella fantastica partita contro l’Inghilterra con la rete che lo incoronato come Mano de Dios. Maradona, però, non è stato solo calcio; è stato un vero e proprio capo-popolo capace di unire la gente (la foto dei tifosi di Boca e River che si abbracciano lo testimoni alla perfezione). Nel weekend calcistico appena passato le testimonianze nei confronti di Diego sono state tante.

Il gesto di Messi

Maradona, al Barcellona, è stato di passaggio ma la sfida contro l’Osasuna è stata la prima partita al Camp Nou senza Diego; una sfida dominata dai Blaugrana con la rete di Griezmann, la conferma di Braithwaite dopo la doppietta in Champions ma soprattutto la perla di Messi. Il goal del numero dieci ha avuto un significato particolare soprattutto nell’esultanza; la Pulga, infatti, ha mostrato la maglia del Newell’s Old Boys in un gesto di enorme intensità. Occhi lucidi, braccia alzate al cielo e l’ultimo saluto ad un carissimo amico.

La vittoria del Napoli

Sono stati giorni difficili quelli vissuti nella città di Napoli dove Maradona è stato un qualcosa di unico (solo passando per le vie della città si può provare a capire l’importanza di Diego per il popolo partenopeo). Nella sfida di campionato, contro la Roma, la squadra ha omaggiato al meglio il ricordo del Pibe de Oro travolgendo i giallorossi in una serata molto “maradoniana”; la punizione di Insigne, non segnava su calcio piazzato da quattro anni, la rete di Mertens che quasi si scusa per aver superato il record di goal di Diego e lo slalom finale di Politano a chiudere al meglio una serata carica di emozioni.

La vittoria del Boca

Il destino ha voluto che, in Argentina, il Boca Juniors sfidasse il Newell’s Old Boys; alla Bombonera si è presentata Dalma Maradona, la primogenita di Diego. Gli Xeneizes, dopo aver segnato su punizione con Cardona, sono andati sotto la tribuna e hanno omaggiato il Diez con un lungo applauso.

Barcellona, Napoli, Boca Juniors; nell’ultimo weekend abbiamo vissuto mille emozioni nel segno del Diego Armando Maradona. Una serie di omaggi che raramente dimenticheremo e dimostrano la fortuna di aver vissuto (chi in prima persona chi tramite i filmati) l’essenza e la purezza del calcio.

Grazie Diego, AD10S




#PalloneDiCarta – La mia vita: tutte le verità di Sir Alex Ferguson

Dopo 26 anni di grandi successi, Sir Alex Ferguson ha lasciato la panchina del Manchester United nel maggio del 2013. Un’icona, un simbolo, un esempio per ogni allenatore, Sir Alex ha rappresentato i Red Devils, ne ha incarnato lo spirito, è stato un manager a tutto tondo, ha creato un impero partendo dal basso e ha fatto di una squadra operaia una corazzata capace di dominare in Inghilterra e in Europa. Alex Ferguson è stato un allenatore capace di alzare 49 trofei sulle panchine del St. Mirren, Aberdeen e soprattutto Manchester United vincendo campionati, Champions League e Coppe. E’ stato onorificato come Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico e insignito del prestigioso titolo di Miglior Allenatore del Mondo del XXI secolo.

“La mia vita”

L’autobiografia di Sir Alex Ferguson, scritta insieme a Paul Hayward, caporedattore sportivo del Daily Telegraph e pubblicata in Inghilterra nell’ottobre del 2013 (tradotta in italiano nel gennaio 2014 per Bompiani Edizioni e in edizione riveduta e aggiornata nell’aprile 2015), è un gioiellino da leggere e custodire per gli appassionati di calcio.

Enrico Sisti de La Repubblica ne tesse le lodi parlando di “un articolato e struggente romanzo del Novecento britannico, scozzese e al tempo stesso universale come il volto di Sean Connery”.

Il mio giudizio non si discosta assolutamente perché si tratta di un libro molto ben scritto, appassionante, godibile, dove Sir Alex ci racconta con dovizie di particolari il signore che è stato sia dentro che fuori dal campo. E’ un libro diviso in 27 capitoli nei quali l’allenatore scozzese affronta tutti i temi che hanno caratterizzato la sua grande carriera al Manchester United, impreziosendo la scrittura con aneddoti interessanti. Non ha risparmiato critiche o giudizi pungenti riguardanti i suoi colleghi, su tutti Rafa Benitez ai tempi in cui lo spagnolo allenava il Liverpool: “L’errore che fece fu quello di diventare il mio antagonista personale. Una volta che lo metti sul piano personale, non hai alcuna possibilità, perché io so aspettare. Io ho avuto successo, lui aspirava a vincere trofei che invece andavano in mano mia. Fu molto imprudente”. Qualche critica è stata mossa anche al grande rivale Arsene Wenger, l’allenatore dell’Arsenal con il quale ci fu una famosa litigata dopo la vittoria dello United che interruppe l’imbattibilità dei Gunners che durava da 49 partite. Scaramucce di campo subito rientrate perché sempre c’è stata tra i due grande stima e reciproco rispetto, così come con Roberto Mancini.

Solo elogi, invece, per l’ex dei Red Devils, Josè Mourinho, al quale Ferguson ha dedicato un intero capitolo dove troviamo molte frasi di ammirazione nei confronti dello Special One. Lo scozzese e il portoghese, due personaggi entrambi accomunati da grandi doti comunicative oltre ad una sottile abilità nel saper motivare le proprie squadre lavorando sia sul campo che, soprattutto, a livello psicologico.

Tra i capitoli più interessanti c’è senza dubbio quello legato ai ragazzi del ’92, lo splendido gruppo di giovanotti dalle qualità eccezionali tali da riuscire a imprimere il loro nome nella storia del calcio. Calciatori come Paul Scholes, Ryan Giggs, David Bechkam, Gary Neville, Nicky Butt erano i ragazzi del vivaio, entrati nello settore giovanile dello United all’età di 13 anni e “cresciuti” da Sir Alex che li ha portati in prima squadra già a 18 anni. L’allenatore scozzese ha creato una squadra proprio intorno a questo gruppo, aprendo un ciclo vincente per il glorioso club di Manchester. Una menzione particolare per due giocatori che sono rimasti con Sir Alex fino all’ultimo: Giggs, l’esterno gallese dalle qualità sopraffine e Scholes, l’inglese che voleva fare l’attaccante ma, per sua fortuna, è stato arretrato dietro le punte da Ferguson divenendo uno tra i più forti calciatori in quella zona di campo degli ultimi 20 anni.

Non poteva mancare un capitolo dedicato ad un giocatore portoghese che ha vestito la leggendaria numero 7 dei Red Devils, dove l’introduzione già dice tutto: “Cristiano Ronaldo è stato il maggior talento che io abbia mai allenato”. Si apprezzano anche descrizioni di momenti privati come le cocenti delusioni per il campionato vinto al fotofinish dal Manchester City, e per le sconfitte in finale di Champions League contro il Barcellona di Pep Guardiola (la squadra migliore che il suo Manchester abbia mai affrontato) e la cosiddetta “solitudine dell’allenatore” dove “tu hai bisogno di contatto umano, ma gli altri pensano che tu sia troppo occupato”.

Idee chiare e concentrazione, ecco il segreto di un grande maestro che così si esprime sulla possibilità di cominciare tutto da capo: ”Obbligherei tutti i giocatori a imparare a giocare a scacchi, per sviluppare l’abilità di concentrarsi. Quando impari a giocare a scacchi puoi metterci tre o quattro ore a finire una partita, ma una volta che sei diventato esperto e inizi a giocare impiegando 30 secondi per mossa, quello è il traguardo. Decidere velocemente quando sei sotto pressione. Ecco che cos’è il calcio”.