La Roma di Mou è la favorita secondo i bookmakers

Le coppe europee sono entrate nel vivo da qualche giorno con la fase ad eliminazione diretta, la più affascinante da sempre, a dir il vero. E mentre tutte le italiane qualificate sono alle prese con le loro gare in Champions o Europa League, l’unica che riposa è la Roma di Mourinho, già qualificata per gli ottavi di Conference League ed in attesa di scoprire quale sarà la sua prossima avversaria.

Infatti, nonostante il tribolato cammino nel girone di qualificazione in cui i giallorossi hanno subito l’onta della pesantissima sconfitta per 6-1 contro il Bodo/Glimt, girone che sono riusciti comunque a terminare al primo posto proprio davanti ai norvegesi, sono già qualificati per gli ottavi di finale, mentre le seconde classificate dovranno affrontare gli spareggi contro le retrocesse dall’Europa League (ovvero le squadre arrivare terze nei gironi eliminatori di questa competizione).

In attesa di conoscere il tabellone definitivo degli ottavi, i possibili avversari della squadra capitanata da Lorenzo Pellegrini sono gli altri sette vincitori dei gironi Lask, Gent, Alkmaar, Feyenoord, FC Copenhagen, Rennes e Basilea e gli otto vincitori degli spareggi in corso.

Dopo l’incredibile vicenda del favoritissimo, almeno inizialmente, Tottenham di Antonio Conte che non ha potuto disputare a causa del Covid la sua ultima gara decisiva contro il Rennes, perdendo a tavolino 0-3 – l’Uefa non ha consentito il recupero della gara, tra le perplessità degli addetti ai lavori – le squadre più blasonate considerate le favorite per la vittoria finale sono proprio la Roma, il Leicester (sconfitto dal Napoli 3-2 nella partita decisiva del girone), il Marsiglia (avversario della Lazio), e a seguire il Rennes, il PSV, il Feyenoord ed il Basilea.

Andando a vedere le quote per le scommesse Conference League, scopriamo dunque che proprio i giallorossi sono tra i favoriti con una quota di 6, la stessa del Leicester, mentre il Marsiglia è quotato a 7.5. Rennes e PSV sono quotati a 10, Feyenoord a 15 e Basilea e Bodo Glimt a 20.

Ma per vincere la prima edizione di questa Conference League, la squadra dello Special One dovrà ritrovare quella brillantezza di gioco che ha mostrato in questa stagione soltanto a sprazzi, alternando prestazioni davvero convincenti a incredibili battute di arresto e sconfitte preoccupanti. Avrà bisogno di ritrovare il miglior Tammy Abraham, attuale capocannoniere in Conference League con 6 reti, e una tenuta difensiva che nelle ultime gare è stata a dir poco disastrosa con 8 reti subite in 5 gare – con la porta inviolata solo nel pareggio interno per 0-0 contro il Genoa in lotta per la salvezza.

Stando dunque ai bookmakers, la vittoria sarebbe alla portata di mano: saprà il tecnico portoghese compattare la squadra e portare alla Roma il primo trofeo internazionale dopo la Coppa delle Fiere del 1961?




Mourinho: “L’Inter come una famiglia, ho dato il meglio sentendomi a casa”

Mourinho: “L’Inter come una famiglia, ho dato il meglio sentendomi a casa”

Il tecnico del Tottenham, José Mourinho, ha parlato della sua meravigliosa avventura all’Inter tra ricordi e aneddoti. Lo Special One si è raccontato a La Gazzetta dello Sport in una bella intervista che certo farà piacere ai suoi indimenticati tifosi nerazzurri. Andiamo a vedere uno stralcio dell’intervista:

Lei arrivò all’Inter ridendo e facendo ridere («Non sono pirla») e se ne andò piangendo e facendo piangere, abbracciato a Materazzi: più vittorie o più sentimenti?
Il meglio in carriera l’ho dato dove ero a casa, dove sentivo le emozioni del mio gruppo, dove sono stato al duecento per cento con il mio cuore: più una persona che un allenatore. Per questo a Madrid ero più felice di vivere la felicità degli altri – da Moratti all’ultimo dei magazzinieri – della mia stessa felicità: io una Champions l’avevo già vinta. Mi è capitato di pensare prima a me che agli altri: all’Inter, mai. Questo succede in una famiglia: quando diventi padre, capisci che c’è qualcuno più importate di te, e passi al secondo posto“.

Urlò di più a Bergamo, nell’intervallo di Kiev o dopo Catania?
A Catania ero squalificato, li aspettai in pullman e avevo la testa un po’ più fredda: dissi tutto il giorno dopo… A Kiev era più calda: “Possiamo essere eliminati, ma non così”. E dopo “così”, furono cinque minuti molto violenti. Però poi abbiamo cambiato il chip e insieme siamo andati fino alla fine. E comunque il giorno più difficile della stagione è stato dopo il pareggio di Firenze“.

Più svolta a Kiev o a Londra?
Per la Champions, Kiev: all’85’ eravamo fuori, se cambi il tuo destino in 4’ è sempre un momento chiave. Ma è stata fondamentale anche Roma, il 5 maggio: il sogno era la Champions, lo scudetto era un obbligo, vincere la Coppa Italia fu come dirci “E una, passiamo alla seconda”. Mi piace rivedere quella partita con uno dei miei assistenti, Giovanni Cerra, malato della Roma: piange ancora…”.

E quale delle tre “finali” invece ha sofferto di più?
Quella di Coppa Italia non la volevo giocare: l’inno della Roma prima della partita, arrivai a provocare “Fermate la musica o ce ne andiamo”. A Siena avevo paura: sei giorni dopo c’era la grande finale, temevo non giocassero quella partita come una finale. Zero a zero al 45’, la Roma vinceva 2-0, nello spogliatoio un caldo tremendo, non capivo come aiutare la squadra a svoltare tatticamente. Fu molto dura, e non finiva più. Avevo detto: “Un giorno mi piacerebbe vincere un campionato all’ultima”. Quel giorno mi dissi: “Mai più”“.

È esatto dire che la Champions dell’Inter nasce a Manchester, nel marzo 2009?
Sì perché quel giorno ci siamo detti con chiarezza che la qualità dell’Inter bastava per vincere lo scudetto, non la Champions. Che dovevamo cambiare anche tatticamente. I giocatori dentro lo spogliatoio erano tristi, fuori nessuno di noi piangeva: io, Moratti, Branca e Oriali eravamo già a parlare di linea difensiva più alta, di giocatori adatti ad almeno due sistemi di gioco, dei profili che ci servivano, di chi poteva restare“.

E a fine luglio, a Boston, avrebbe detto addio a Ibrahimovic.
Ma il casino successe prima, a Pasadena, il giorno dell’amichevole contro il Chelsea. Tormentone da giorni: “Ibra va al Barcellona, non va al Barcellona”, lui da superprofessionista quale è giocò 45’, ma poi nello spogliatoio disse: “Vado, devo vincere la Champions”. I miei assistenti italiani erano morti – “Senza di lui sarà impossibile vincere” – i compagni non volevano perderlo. Ero preoccupato anche io, ma mi uscì così: “Magari tu vai e la vinciamo noi”. Ero stato un po’ pazzo, ma nello spogliatoio cambiò l’atmosfera. Poi dissi a Branca: “Se lui vuole andare a Barcellona, cerchiamo di prendere Eto’o”. Lui e Milito tatticamente potevano dare una diversità alla squadra“.

L’altra diversità la diede Sneijder?
Diversità tattica. Serviva qualcuno che legasse il centrocampo a due attaccanti dalla mobilità tremenda, lui era perfetto. A un certo punto non ci speravo più, ma la prima opzione era lui e Branca mi disse: “Non mollare, facciamo insieme pressione su Moratti”. Da quel giorno chiamai Moratti tutti i giorni: “Serve Wes, Wes, Wes”“.

Se dovesse dire quale fu la sua Inter perfetta: quella del derby vinto 4-0?
Vicina alla perfezione: gol pazzeschi, controllo totale, il Milan, quel Milan, distrutto anche psicologicamente. Ma la partita simbolo della mia Inter è l’ultima: perché l’abbiamo vinta prima di giocarla e non è normale che in una finale di Champions tutti, non solo l’allenatore, sentano così forte di avere tutto sotto controllo“.

Quell’Inter fu, assieme al Real, la squadra più lontana dall’etichetta del Mourinho difensivista?
La partita iconica del Mourinho difensivo è stata quella del Camp Nou, ma quel Barcellona aveva perso 3-1 a San Siro e noi ci eravamo guadagnati il diritto di andare a giocare da loro come volevamo. E se Pandev non si fosse infortunato nel riscaldamento, avremmo giocato con Pandev, Sneijder, Eto’o e Milito”.

Al Camp Nou trovò il tempo di andare da Guardiola a dirgli qualcosa.
Quando Busquets cadde quasi tramortito io ero in diagonale fra la nostra panchina, la loro e il punto dove Thiago Motta venne espulso. Con la coda dell’occhio vedo la panchina del Barcellona che festeggia come se avessero già vinto, Guardiola che chiama Ibra per parlare di tattica: tattica in 11 contro 10… Gli dissi solo: “Non fare festa, questa partita non è finita“.

Perché non tornò a Milano con la squadra?
Perché se fossi tornato, con la squadra intorno e i tifosi che avrebbero cantato “José resta con noi”, forse non sarei più andato via. Io non avevo già firmato con il Real prima della finale: chi ha detto che qualcuno del Real venne nel nostro hotel prima della finale disse una cazzata. Prima della finale successe solo che scoprii lo scatolone con le maglie celebrative e scappai per non vederle. Io volevo andare al Real: mi voleva già l’anno prima, andai a casa di Moratti a dirglielo e lui mi fermò, “Non andare”. Al Real avevo già detto no quando ero al Chelsea, al Real non puoi dire no tre volte. Oggi forse potrei stare 4-5-6 anni nello stesso club, ma allora volevo essere il primo – e sono ancora l’unico, fra gli allenatori – ad aver vinto il titolo nazionale in Inghilterra, Italia e Spagna. Allora mi dissi: “Sto qui due giorni, firmo il contratto e vado a Milano quando non posso più tornare indietro“.

Dunque fu solo per vincere, non per il rumore dei nemici…
Cento per cento ambizione. Il rumore dei nemici, che poi piangevano, era bellissimo: era più forte il tremore del rumore, e se ci pensa bene è la stessa cosa: quando c’è rumore è perché c’è paura“.

Per un po’ di tempo e più di una volta, lasciata l’Inter, ha detto: «Un giorno tornerò». Perché ha smesso di dirlo?
Lo so perché mi sta facendo questa domanda. Ma io non sono pirla…“.

 

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Inter, Materazzi: “Mourinho un fenomeno. Che discorso al Camp Nou!”

Inter, Materazzi: “Mourinho un fenomeno. Che discorso al Camp Nou!”

Inter – Le dirette Instagram tra ex calciatori durante la quarantena sono diventate dei veri e propri appuntamenti fissi, specie quelle di Christian Vieri. Questa volta ospite è stato l’ex nerazzurro Marco Materazzi che ha parlato di tanti argomenti, specie legati all’anno del Triplete, del quale ricorre il decennale, diretto da Josè Mourinho.

Il portoghese era un fenomeno. Il primo giorno arrivò alla Pinetina, non volava una mosca perché tutti avevano il terrore ma lui ci disse ‘Oh, ma potete anche ridere!’.Da lì è stato uno spasso, sembrava un sergente e spesso ti ammazzava, ma si è creata grande empatia tanto che nessuno si è mai permesso di pensare qualcosa di diverso da lui. Una volta disse ad Adriano ‘Tu non giochi più’, perché era tornato tardi da una serata. La partita dopo titolare in un derby con il Milan, fece una grande prestazione. Dopo una partita persa a Catania ci fu uno dei momenti più difficili, prese di mira soprattutto Balotelli. Poi una volta se la prese con Toldo che non giocava mai, gli disse ‘Francesco non sei più lo stesso!‘. E lui rispose: ‘È vero, mister!‘. Dopo tutto questo andammo a Londra col Chelsea e giocammo alla grande. Facevamo degli allenamenti bellissimi, eravamo organizzati oltre che forti. La società gli mise a disposizione una squadra straordinaria e lui mise mano dove doveva”.

“Personalmente ero legato a Mourinho per il rapporto, perché io giocavo pochissimo ma sapevo di avere un’età dove dovevo gestirmi e mettermi a disposizione del gruppo. Pur non giocando, il lunedì andavo con entusiasmo all’allenamento e questo ti fa alzare il livello. Ognuno voleva vincere anche le partitelle 3 contro 3, questo fa la differenza perché vai a giocare con entusiasmo contro squadre che, a livello tecnico, già erano inferiori. Noi giocavamo a Roma con la Lazio in campionato e vincevamo 2-0, lui si girò e disse ‘Bella la finale di Coppa Italia mercoledì, vero? Guarda che la giochi‘. Già il giorno dopo mi presentai all’allenamento a mille, giocai quella partita come la finale di Champions League. Dimostrava di avere grande fiducia in tutti”.

Ovviamente non poteva mancare un riferimento diretto all’epica semifinale di Champions League contro il Barcellona: “Ci allenavamo veramente per giocare 11 contro 9, 11 contro 10. A Barcellona quando è stato buttato fuori Thiago Motta nel primo tempo ci dice ‘Ragazzi noi ci alleniamo 7 contro 5, 7 contro 4, 9 contro 5. Qui siamo 11 contro 10. Non pensiamo di partire dal portiere, diamogliela là. Tirala lunga Julio e difendiamoci 11 contro 10. Infatti tiravamo molto poco in porta. Però era una squadra organizzata. A parte che eravamo molto forti perché tu avevi cambiato dal 2009 al 2010 Thiago Motta, Milito, Lucio, Eto’o e Sneijder a una squadra che aveva già vinto lo scudetto”. Decisivi in quel Triplete furono soprattutto Milito ed Eto’o: “Diego ha perso tempo, poteva giocare tantissimi anni in grandi squadra. Era umile, intelligente e faceva sempre gol, per un attaccante è fondamentale. Eto’o? Veniva da un Triplete, poi si mise a disposizione facendo un grande lavoro. E ha vinto tutto anche con noi, dopo averlo fatto con il Barcellona”.


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Mourinho: “Mi manca il calcio. Penso a vincere la quarta Premier”

José Mourinho, attuale allenatore del Tottenham, ha rilasciato un’intervista ai microfoni di Sky Sports UK. In assenza di calcio, sta facendo volontariato per consegnare allo stadio verdure fresche prodotte nel campo d’allenamento, affinché siano consegnate ai soggetti più in difficoltà della comunità locale durante quest’emergenza sanitaria: “Mi manca il calcio, ma preferisco dire che mi manca il nostro mondo, penso manchi a tutti. Il calcio è semplicemente parte del mio mondo. Ma dobbiamo essere pazienti, è una battaglia che dobbiamo combattere tutti”.

L’impianto degli Spurs ha già aperto le porte ai pazienti del North Middlesex Hospital e ciò fa sentire Mourinho “strano ed emozionato” quando entra nello spogliatoio: “Cerchi di immaginare che la vita normale si svolgeva qui dentro: il prepartita, la partita, il dopo…poi entri qui e vedi solo un’incredibile struttura ospedaliera. Semplicemente fanatastico”.

Il calcio rimane sospeso fino a data da destinarsi in Inghilterra, ma immaginare il suo ritorno offre “una luce in fondo al tunnel” per Mourinho. In Premier League si terranno ulteriori incontri questa settimana, essendo il suo obiettivo un ritorno a porte chiuse a giugno. Lo sport riprenderà solo quando il governo sarà soddisfatto sulle misure prese. Quando ciò succederà, Mourinho ha detto di voler terminare la stagione 2019/2020: “Sarebbe bello per tutti giocare le nove partite che ci rimangono., sarebbe una cosa buona sia per il calcio che per la Premier. Se giochiamo a porte chiuse mi piace pensare che il calcio non è mai a porte chiuse: con le telecamere ti guardano milioni e milioni di persone. Così se un giorno entreremo di nuovo in questo stadio vuoto, non lo sarà affatto vuoto”.

Kane, Sissoko e Bergwijn guariti dagli infortuni

Harry Kane, Moussa Sissoko e Steven Bergwijn sono tutti guariti dai loro lunghi infortuni, ma Mourinho è incerto sulla data del loro rientro, una volta che si tornerà a giocare: “Per loro si è trattato di  molte settimane di stop e abbiamo smesso di allenarci proprio quando gli infortuni stavano arrivando a una fine, Nessuno sa, dobbiamo aspettare il permesso perché possano nuovamente allenarsi in gruppo per vedere se possono tornare a un normale livello agonistico.”

L’allenamento al parco

Mourinho ha ammesso di aver sbagliato nell’aver tenuto una sessione d’allenamento privata con Tanguy Ndombele in un parco pubblico il mese scorso. Tuttavia questa settimana gli Spurs hanno reso disponibile per i giocatori “un numero di campi” nel loro centro di allenamento, Hotspur Way: “Per i ragazzi è una sensazione positiva sentire di nuovo l’odore dell’erba”

Preferisco pensare che vincerò la mia quarta Premier

Mourinho sta vivendo con altri tre allenatori del Tottenham durante il lockdown. Il tempo vola e rimane loro poco tempo persino per cucinare, dato che passano la maggior parte del tempo a lavorare: “Sono lo specialista delle uova al tegamino, gli altri ragazzi sono un po’ più bravi di me” ammette. Il periodo difficile ha concdesso a Mourinho una pausa, nonostante tutto: “Sto guardando partite in Tv come non ho mai fatto in vita mia“. Giovedì sarà il 15o anniversario dalla sua prima vittoria di una Premier League, quando il Chelsea vinse 2-0 contro il Bolton. Ma Mourinho non vuole impantanarsi sulle date: “Preferisco pensare che vincerò la quarta.”.

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Toldo: “Campionato falsato a discapito della meritocrazia sportiva”

Toldo: “Campionato falsato a discapito della meritocrazia sportiva”

Francesco Toldo è stato per moltissimi anni uno dei più forti portieri del mondo tra gli anni novanta e duemila; Toldo è stato eccellente sia con la maglia della Fiorentina indosso che con quella dell’Inter, oltre che con la Nazionale italiana al quale ha reso un grande servizio prima dell’avvento di Buffon. Francesco Toldo dopo aver appeso guanti e scarpini al chiodo si è un po’ allontanato dal mondo del calcio, ma quest’oggi è tornato a parlare a Il Giornale, rilasciando una bella intervista. Andiamo a vedere cosa ha detto:

Toldo, 10 anni fa l’Inter usciva sconfitta dal Camp Nou ma con la finale di Champions League ottenuta. Ci racconti come hai vissuto quella serata e qualche aneddoto particolare legato a quella partita?

“Siamo stati monumentali, forti del 3-1 dell’andata, tutto il mondo calcistico conosce la forza del Barcellona al Camp Nou. Hanno caratteristiche fuori dall’ordinario, mettono in difficoltà qualsiasi squadra; però contro di noi non l’hanno fatto vedere! L’Inter del Triplete era costruita da uomini prima che da calciatori, mi ricordo la grande parata di Julio Cesar su Messi e nonostante il rosso a Thiago Motta abbiamo retto fino alla fine della partita. Un aneddoto? Il giorno prima ci fu una grande litigata a pranzo tra di noi per motivi che non posso dirti, fanno parte dei segreti di quell’anno….ma tutto si risolse nel migliore dei modi ed entrammo in campo più uniti che mai”.

In tanti hanno esaltato quella squadra che conquistò il triplete. Qual era la vera forza del gruppo?

“La vera forza del gruppo era il confronto diretto e il dirsi le cose in faccia senza che nessuno si offendesse. C’erano inoltre grandi campioni che si misero a disposizione del gruppo anteponendo l’interesse della squadra a quello personale. L’aspetto principale è rappresentato da Mourinho che, insieme alla società di Massimo Moratti, lavorava con gli stessi obiettivi. Lungo il cammino si sono aggiunti i tifosi che hanno sempre di più compreso la grandezza della stagione e la sinergia è stata fondamentale per arrivare a quei grandi traguardi”.

Ci racconti qualche aneddoto su José Mourinho? Che tipo di allenatore e di motivatore era?

“Mou prima di tutto è uno psicologo, la gestione del gruppo per lui è fondamentale, la chiarezza e la comunicazione sono punti saldi. Ottiene rispetto dal gruppo quando egli per primo s’arrabbia coi giocatori più importanti nelle riunioni in spogliatoio. Più volte ha attaccato per motivazioni varie i grandi campioni senza che nessuno si offendesse per i concetti sensati che riusciva ad esprimere. Era il primo agli allenamenti e l’ultimo a chiudere la porta. Con lui potevi tranquillamente disquisire di qualsiasi argomento, era sempre preparato. Spiccava la sua dote nel parlare più lingue straniere e lo dimostrò alla sua presentazione alla Pinetina. Tutt’ora ci sentiamo…”.

Capitolo Inter attuale. Cosa ne pensi di Antonio Conte e della squadra allestita da Marotta e Ausilio? Quanto manca per colmare il gap con la Juventus?

“Penso che ci siamo alzati di livello rispetto alle annate precedenti anche se non basta, non per confrontarsi con la Juventus, questo no! Perché l’Inter deve tracciare sempre e comunque la sua rotta e rispettarla. L’Inter ha una sua notevole storia calcistica ed avrebbe meritato molti scudetti in più sul petto”.

Il calcio e lo sport si sono dovuti fermare per la pandemia da coronavirus. Pensi sia giusto riprendere o archiviare la stagione 2019-2020?

“Voglio pensare ad un calcio più vicino alla normalità della gente per cui il buon senso imporrebbe di fermarsi e rivedersi a campionato nuovo. Purtroppo però l’introito maggiore del calcio è rappresentato dai diritti tv che se venissero a mancare improvvisamente causerebbero un danno enorme all’indotto e a cascata fino all’economia di tutti i giorni. Quindi mi aspetto una ripartenza in sicurezza proprio per vincere contro questo Covid-19 e ritornare lentamente alla normalità”.

Cosa ne pensi delle polemiche di questi giorni su questo tema che sta infiammando il mondo del calcio?

“Si tratta di riflessioni che poi col tempo passano, trovo ingiusto scaricare al solito mondo dorato del pallone colpe che giocatori non hanno. Il governo guidato da un pool di scienziati si sta esprimendo e trovo che in un momento di difficolta si debba cercare di criticare di meno e agire di più. Alla fine giusto ripartire”.

Sei stato grande protagonista con l’Italia nel 2000. Le tue innumerevoli parate in semifinale sono valse la finale poi purtroppo persa contro la Francia. Ci racconti le tue emozioni di quella partita e della finale?

“La partita con l’Olanda rientra nelle immortali del calcio, ricorre il ventennio fra pochi giorni e gli sportivi continuano a riviverla. Se ti dicessi che la sera prima ho immaginato esattamente nella mia testa tutto ciò che l’indomani sarebbe accaduto? Ci crederesti? Ebbene è andata proprio così, ero convinto di alzare un muro per contenere gli olandesi, solo Kluivert ha retto psicologicamente”.

Tema dolente, il 5 maggio: cos’è successo in quella partita? Ti aspettavi l’addio di Ronaldo a fine stagione?

“Epilogo amarissimo di un campionato falsato da altre forze a discapito della meritocrazia sportiva. Senza voler polemizzare a distanza di tempo, vicenda chiusa. Ronaldo? Il brasiliano più forte e simpatico che abbia conosciuto, malgrado le sue avversità fisiche sfoggiava sempre un sorriso contagioso”.

Una volta in Inter-Juventus sei stato protagonista con Christian Vieri di una carambola che è valsa il pareggio nerazzurro. Senti tuo quel gol?

“Il gol era mio, Bobone l’ha preso solo per la classifica cannonieri che meritava di vincere. Tutt’ora con Bobo scherziamo sulla paternità del gol, tanto io so che e mia (ride; ndr). Personalmente sono fiero e ancora divertito del gol a San siro con la Juventus. lo racconto spesso ai miei figli e prendo l’esempio quando parlo ai giovani dicendo loro che con la convinzione unita al talento, ovviamente insieme alla buona sorte, raggiungi i sogni che ti prefiggi… Fatelo ragazzi, sognate e realizzate i vostri obiettivi”.

Cosa ne pensi delle dicharazioni di Romelu Lukaku durante una diretta Instagram con la moglie di Mertens:

“Tra dicembre e gennaio 23 su 25 calciatori hanno avuto la febbre. Non sapremo mai se era coronavirus o meno” “Ho imparato a non giudicare quando non conosco bene la situazione, penso che all’inter ci sia uno staff sanitario con medici preparatissimi che tutelano i propri giocatori e credo che ognuno debba rispondere per il suo mestiere”.

Vuoi mandare un messaggio su come dovrebbe e potrebbe migliorare il mondo del calcio?

“Il calcio è lo sport principale in Italia e per questo bisognerebbe conservarlo e migliorarlo per appassionare sempre più sportivi. Per questa ragione mi piacerebbe che ogni campione cerchi di essere esemplare sia quando gioca ma soprattutto nella vita privata. Così facendo alzi si innalza il livello d’umanità intorno a questo sport. I giovani ragazzi di oggi che giocano nei dilettanti e nel calcio minore osservano ogni comportamento dei nostri idoli, diamo il buon esempio allora!”.

 

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Atalanta, Castagne nel mirino del Tottenham

Tottenham su un esterno dell’Atalanta!

Il Tottenham cerca un rinforzo a tutta fascia per l’esterno destro di José Mourinho. Lì al momento c’è Serge Aurier mentre il tecnico portoghese vorrebbe tenere full time Japhet Tanganga come primo della difesa a tre e non come fludificante. Per questo gli Spurs avrebbero messo gli occhi su Timothy Castagne dell’Atalanta. Contratto fino all’estate del 2021, il belga è uno dei giocatori che potrebbe uscire nella prossima sessione dal club di Gasperini. Non c’è solo il Tottenham, ma il club di Daniel Levy, già da tempo ha mandato segnali a Castagne manifestando il proprio interesse.

L’esterno belga, pur non ricoprendo un ruolo fondamentale al livello dei vari Ilicic, Gosens, Gomez e Zapata, è un tassello importante nello scacchiere di Gasperini: è la prima scelta in caso di indisponibilità di uno tra Hateboer (che non è più il giocatore decisivo dell’anno scorso, anzi, non ci sarebbe da stupirsi se Castagne lo scavalcasse nelle gerarchie)  e lo stesso Gosens e può giocare su entrambe le fasce. Quando viene chiamato in causa si fa sempre trovare pronto, garantendo anche partecipazione in zona gol. Quest’anno ha disputato 19 partite (spesso da subentrato) collezionando 2 gol e 2 assistSarà il nuovo esterno di Mou?

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Roma, i prestiti di Mkhitaryan e Smalling andranno oltre il 30 giugno

Come riporta Sky Sport, il club giallorosso infatti avrebbe trovato l’accordo con Arsenal e Manchester United per estendere i contratti di Henrikh Mkhitaryan e Chris Smalling. L’armeno e l’inglese, dunque, resteranno nella capitale oltre il 30 giugno: la nuova intesa tra i club, infatti, prevede la permanenza dei due calciatori alla Roma fino al termine di questa stagione, fermata a causa dell’emergenza Coronavirus. Entrambi sono stati molto importanti per la squadra durante l’anno diventando due pilastri, soprattutto l’inglese. Fonseca potrà far affidamento su di loro ancora per qualche mese. Da sottolineare che recentemente il Smalling era stato inserito sulla lista delle cessioni dei Red Devils insieme a De Gea e Phil Jones. Solskjaer vorrebbe infatti sacrificare loro e puntare ai grandi obiettivi di mercato come Sancho, Grealish e Bellingham.

Smalling e Mkhitaryan hanno fatto parte del Manchester United che nel 2017, con Mourinho in panchina, conquistò l’Europa League e sarebbero due elementi di grande esperienza in vista del prosieguo del cammino della Roma in questa competizione, che dovrebbe riprendere ad agosto. Senza dimenticare la loro importanza nello scacchiere di Fonseca in campionato, con Smalling nuovo leader difensivo dopo la partenza di Manolas in estate e Mkhitaryan, infortuni permettendo, sempre più coinvolto nella partecipazione ai gol della Roma.

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