Si è concluso ieri il quarto derby stagionale fra Roma e Lazio, una quaterna di partite che lancia un messaggio forte, particolare, che incredibilmente cozza fortemente con quello che invece dice la classifica. In questo editoriale non vogliamo risparmiare mezzi termini: la squadra di Inzaghi ha completamente umiliato gli uomini di Spalletti che, sebbene in fin dei conti abbiano vinto due partite, ne escono con le ossa rotte. Per i giallorossi a pesare non è stata solo l’eliminazione dalla Coppa Italia, ma anche la sensazione di non aver mai, in poco più di 360 minuti, avuto il controllo completo del gioco. Nemmeno nei minuti finali di quel derby del 4 dicembre finito 0 a 2, che sembrava essere un ennesimo segnale di superiorità da parte di un club che di derby non ne perdeva da 2013, gli uomini Spalletti sono riusciti a convincere del tutto. Proprio da quel finale di partita vogliamo partire, perché la chiave è lì. Stupidi noi a non trovarla.
Nella conferenza stampa post partita fecero scalpore le parole di Simone Inzaghi che, con molta tenacia e fierezza, difese apertamente la propria squadra attribuendo agli avversari una vittoria non meritata: “La Roma non ci ha dominato, per 60 minuti non è riuscita a fare un tiro in porta. Sicuramente nemmeno noi abbiamo fatto il massimo per portarci avanti ma a fine primo tempo pensavo che se qualcuno l’avesse potuta sbloccare, quella era la Lazio“. Parole amare quelle del tecnico biancoceleste, che a Roma (sponda giallorossa) sapevano di “Rosicata” ma che in realtà nascosero non poche verità. Cosa sarebbe successo se la Lazio avesse segnato in quella occasione ad inizio partita? Cosa sarebbe successo se Wallace non avesse tentato quell’inutile giocata? Inutile chiedercelo, dicemmo allora; sarebbe successo proprio questo, rispondiamo ora. Partiamo da un presupposto: a livello di rose la Roma molto probabilmente è più forte. Su questo c’è poco da obiettare perché, a parte qualche elemento di rilievo nella rosa di Inzaghi come Keita, Biglia o Anderson, in tutti i reparti i giallorossi hanno sicuramente più talento e anche più esperienza, oltre ovviamente ad avere speso il triplo dei cugini e con un budget a disposizione per gli stipendi più che doppio. Per fortuna però il calcio non è pure speculazione economica e spesso basta organizzazione, cervello e grinta per fare miracoli ed imprese inimmaginabili nei bookmakers di agosto.
Uno dei tanti fattori che determinano la bellissima variabilità di questo sport è la figura dell’allenatore che, in uno sport tattico come il calcio, è molto di più di una semplice persona che deve far correre i suoi giocatori. La storia dei derby di quest’anno ne è un perfetto esempio perché sì, la netta supremazia laziale deriva proprio dalle scelte sbagliate di Spalletti e dalle decisioni corrette di Inzaghi. La cosa che più fa pensare, sotto questo punto di vista, è che gli errori commessi dal tecnico toscano si sono reiterati in tutte le partite, quasi come una stupida e saccente voglia di dimostrare la propria superiorità: non è stato così, perché anche il tecnico della Lazio ha mandato in campo una squadra quasi sempre simile, dimostrando ogni volta di aver trovato un modo intelligente di bloccare ogni spunto giallorosso. Proprio per questo abbiamo deciso di sviluppare questo approfondimento non analizzando partita per partita, ma andando ad evidenziare alcuni punti critici che si sono sviluppati all’interno delle 4 gare e che hanno determinato questa netta e profonda differenza fra le due squadre.
L’ATTACCO E’ LA MIGLIOR DIFESA, SOPRATUTTO QUANDO QUESTA E’ MONCA
Uno degli elogi migliori fatti ad Inzaghi riguarda la gestione della fase offensiva: la Lazio il talento ce lo ha sopratutto davanti, grazie a due esterni tra loro molto diversi ma complementari come Felipe Anderson e Keita: il primo è quasi un trequartista a cui piace rientrare spesso sul centro e provare il tiro dalla distanza, il secondo è invece un’ala pura che preferisce andare sul fondo o dribblare direttamente l’uomo che ha davanti per rendersi pericoloso e/o creare superiorità numerica nella metà campo avversaria. A completare il terzetto ci pensa Ciro Immobile, tornato finalmente ai suoi livelli dopo una serie di stagioni non proprio positive. Dal canto suo la Roma quest’anno è stata finalmente elogiata anche per la sua fase difensiva, grazie sopratutto alla trasformazione tattica di Spalletti che, senza Salah per la coppa d’Africa, ha schierato un compatto 3-5-2, sfruttando tutti i suoi difensori centrali migliori (Fazio, Rudiger e Manolas) e agevolando il lavoro dei terzini di spinta (Palmieri e Peres) che proprio esterni bassi non sono. Guarda caso l’unico derby veramente vinto dai giallorossi (il primo) è stato proprio l’unico giocato con la difesa a 3 anche se, come detto in precedenza, i problemi sono strutturali.
La squadra di Spalletti tende infatti ad avere qualche problema di impostazione dal basso, visto che né Manolas né Rudiger sono in grado di gestire egregiamente la palla. La situazione è migliorata grazie all’inserimento di Fazio, sicuramente il migliore sotto questo aspetto. Il posizionamento a 3 della linea giallorossa permette di far avanzare i terzini che fanno in modo di schiacciare all’indietro tutta la squadra avversaria che, rinunciando al pressing, lascia assoluta libertà di impostazione. Il problema è che la Roma, nei derby, non ha sfruttato quasi per nulla la salita degli esterni di centrocampo. Questo ha permesso due cose: 1) alla Lazio di giocare più alta e più stretta e quindi di pressare meglio il portatore di palla 2) di creare dei veri e propri buchi sulle fasce giallorosse: L’inserimento sulla destra di Rudiger in tutti i match disputati ha penalizzato infatti la manovra romanista: il tedesco sale assai poco e questo crea troppo distanza fra lui e Salah, che si è ritrovato fin troppo spesso isolato, perché è proprio Spalletti a chiedergli di restare alto per permettere le ripartenze. In questo modo si è spesso intasata la zona centrale del campo e i cross partiti dalla trequarti campo sono stati facili prede dei difensori biancocelesti.
Un altro fattore determinante è stato tuttavia l’abnegazione e l’intelligenza tattica dei calciatori della Lazio: il sacrificio messo in atto a livello di pressione degli attaccanti biancocelesti è ammirevole perché non hanno dato un minuto di respiro ai palleggiatori avversari: sia al primo minuto del secondo derby di Coppa, sia all’ultimo del primo, il grande lavoro a livello difensivo dei ragazzi di Inzaghi è stato notevole: poco contano gli interpreti perché nel derby disputato ieri mancava Immobile, con Keita (non proprio il tipo da pressing a tutto campo) che ha svolto il suo compito in maniera ottimale, arrivando anche al gol. Molto saggia poi la decisione di Inzaghi di utilizzare un pressing “intelligente e mirato”. Ad essere messi sotto pressione, in tutte le partite, sono stati infatti solo gli uomini di sinistra, ovvero Fazio ed Emerson, mentre Manolas e Rudiger erano quasi totalmente liberi. Questo ci riconduce al ragionamento fatto prima: il tedesco ed il greco non sanno impostare e per questo anche lasciarli liberi non è un grosso sacrificio perché 3 volte su 4 il loro è uno sterile lancio in avanti che finisce preda dei propri difensori o della testa di Milinkovic-Savic. Inoltre, come già detto in precedenza, Salah viene ad aiutare pochissime volte, per cui Rudiger non ha nemmeno l’appoggio sulla proprio fascia, cosa che invece Palmieri ha con El Shaarawy.
MA QUANTI SONO QUESTI?
Secondo molti le partite si decidono a centrocampo: se tale reparto funziona, allora al 90% la vittoria è tua. Molto spesso è stata questa la chiave dei successi giallorossi, visto che hanno spesso potuto contare sull’esperienza di De Rossi, (in grado di aiutare difensivamente), sul ritorno della dinamicità di Strootman e sopratutto sull’exploit di Nainggolan, che mai come in questa stagione è riuscito a dimostrarsi un giocatore forte e completo. Dall’altra parte abbiamo però visto l’altrettanta crescita di Sergej Milinkovic-Savic che, grazie alla sua potenza e alla sua classe, si è preso senza nessun problema il centrocampo biancoceleste. Non si può dire sia stata una annata così soddisfacente anche per Parolo e Biglia, i quali sono stati sicuramente più discontinui del compagno di reparto, ma hanno comunque fatto molto meglio della passata stagione e sono riusciti a reggere una squadra che arriverà probabilmente ad un passo dalla Champions.
La differenza sta però nel come sono stati posizionati in campo: in qualsiasi derby disputato Spalletti, con un po’ di spocchia, ha sempre posizionato la sua squadra molto alta: a differenza della partita contro l’Inter, in cui i giallorossi riuscirono a strappare un grande risultato grazie ad una prova di sacrificio encomiabile, nella partita di tre giorni dopo contro la Lazio il baricentro è stato molto, troppo, più avanzato, permettendo alla Lazio di recuperare palloni e partire in contropiede. Sotto questo punto di vista è stato sublime il lavoro svolto da Biglia e dalla difesa: il centrocampista argentino ha agito da vero mediano chiudendo tutti i possibili spazi di incursione, mentre i tre centrali hanno chiuso Dzeko: questo ha portato in varie occasioni ad un rallentamento della manovra giallorossa, con i centrocampisti (sopratutto Paredes nei derby di Coppa Italia) senza un riferimento preciso su cui appoggiarsi. La Lazio ha sfruttato ciò recuperando moltissimi palloni, sopratutto da dietro: Paredes alza la testa in cerca di compagni, non li trova, e da dietro arriva Parolo a rubargli il pallone per iniziare la fase di contropiede. Questo tipo di atteggiamento super-offensivo funziona solo se hai i reparti molto stretti, tanto movimento e la capacità di palleggiare con uno-massimo due-tocchi, cosa che la Roma troppo spesso non è riuscita a fare. Per carità, anche contro il Villarreal la zona mediana è stata parecchio densa, ma almeno in quell’occasione gli uomini di Spalletti hanno saggiamente deciso di affidarsi alle corsie esterne, andando quindi a penetrare sulla fascia per creare azione pericolose grazie sopratutto a Salah, Palmieri ed El Shaarawy.
Nelle gare contro gli storici rivali (ma anche in altre occasioni) la Roma ha invece preferito puntare tutto sulle corsie centrali, cercando il fraseggio corto fra i centrocampisti e Dzeko oppure gli inserimenti di Nainggolan. Persino gli esterni, sia El Shaarawy che Salah, hanno troppo spesso agito troppo centralmente, vicini alla punta, venendo intrappolati nella gabbia di ferro composta da Wallace, De Vrij e Bastos. Determinante è stato sopratutto Parolo, il quale si è letteralmente incollato a Nainggolan, non facendogli svolgere il compito da “tuttocampista” che di solito intraprende. Il belga, quando rimane troppo bloccato, non riesce ad essere determinante perché non ha grandi doti di palleggio o una disciplina tattica alla De Rossi che gli permette di liberarsi del pressing avversario. Molte volte elude le pressioni avversarie sopratutto grazie alla corsa e ai continui movimenti, ma la gabbia a 5 costruita da Inzaghi lo ha costretto a correre solo orizzontalmente non verticalmente, stancandolo a più riprese senza nessun tipo di beneficio per la manovra della Roma.
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
E Dzeko ? Perché il centravanti bosniaco non è riuscito ad incidere come al suo solito? Semplicemente perché ha avuto tre condottieri, tre gladiatori, che non gli hanno permesso di essere decisivo. Inzaghi ha trattato il giocatore come se fosse un centravanti alla vecchia maniera utilizzando metodo anch’esso “antico”: attraverso la marcatura ad uomo. L’allenatore della Lazio ha voluto concentrare le sue manovre difensive per arginare lui e Salah, mettendo come guardia i tre centrali: da una parte De Vrij e Bastos su Dzeko, con il primo che è andato a lottare sui palloni aerei e sulle palle ferme facendo valere la sua velocità, mentre il secondo (a seconda della posizione della palla) ha giocato di fisico a impattare oppure di anticipo, leggendo spesso bene i movimenti dell’avversario.
Al contrario Wallace andava sempre a scalare verso Salah, aiutando sopratutto Lukaku nel raddoppio quando l’egiziano provava a partire palla al piede. Questo ha decretato un incredibile immobilismo da parte dei giocatori romanisti che pressati e chiusi provavano a risolvere grazie a lanci lunghi e prevedibili. Nelle ultime 3 partite disputate Spalletti ha inoltre sbagliato praticamente tutti i cambi: in Coppa Italia spesso le riserve entravano troppo in ritardo, senza la possibilità di adattarsi, con il povero Totti costretto a cercare forzate verticalizzazioni che, grazie all’incredibile assetto organizzativo laziale, non facevano altro che far perdere palla alla squadra e far passare ulteriori secondi. Anche nella partita di ieri i cambi sono stati completamente disastrosi: far entrare una giocatore così in difficoltà come Bruno Peres solo per adottare il 3-5-2 non è stata una gran mossa, sopratutto se poi ricambi ancora modulo dopo che hai preso un altro gol.
Aldilà di tutto ciò che emerso soprattutto è una maggiore brillantezza da parte degli uomini di Inzaghi, che sembravano un unico corpo che correva sotto gli ordini del proprio allenatore. Al contrario la squadra giallorossa è sembrata disunita ed inerme: se la stanchezza fisica poteva essere una giustificazione sufficiente per le partite in Coppa, ciò non può bastare per l’ultima partita giocata, anche perché la Roma veniva da un momento migliore rispetto alla compagine biancoceleste. Anche da un punto di vista psicologico si è vista una differenza abissale: da una parte una squadra che ha fatto sempre il suo gioco, sempre la sua parte e sempre il suo dovere aldilà del risultato e aldilà di qualsiasi fase della partita. I giallorossi al contrario hanno sempre voluto far proclami anticipati (dal “Vinciamo tutte e due le partite” di Nainggolan al “Li battiamo 2 a 0” di Totti) salvo poi sgretolarsi non appena passati in svantaggio.
WHO ARE YOU? I’M YOU, BUT STRONGER
Torniamo quindi da dove siamo arrivati, da quell’avvertimento di Inzaghi a fine Lazio-Roma 0-2 che sa tanto di profezia, non di giustificazione. L’allenatore ha saputo limare i piccoli errori della sconfitta (in cui i biancocelesti erano stati comunque superiori) per costruire una serie di partite pressoché perfette: concretezza e organizzazione sono state le chiavi del successo, perché la Lazio ha saputo disporsi in modo da annullare le armi preferite dei giallorossi (Dzeko, Nainggolan, i tre centrali tutti assieme, De Rossi mediano) riuscendo praticamente sempre ad avere le gare sotto controllo. La Roma si è invece macchiata di troppa spocchia, narcisizzandosi a tal punto da risultare prevedibile e lenta.
Non sappiamo se tutto questo sia stato lo specchio dell’atteggiamento del proprio allenatore, ma quest’ultimo ha sicuramente sbagliato perché non è riuscito a trovare un’alternativa credibile per poter mettere in difficoltà gli avversari. Un passo falso che forse gli comprometterà la stagione (il Napoli si sta avvicinando) ed il futuro sulla panchina romana. E la Lazio? La società deve capire due cose: 1) Inzaghi ha veramente la stoffa del grande allenatore e perciò deve assicurarsi di blindarlo e di assecondare le sue richieste 2) che questa squadra va allo stesso tempo mantenuta nella sua ossatura e rinforzata: vendere Keita sarebbe una grave perdita, così come perdere Biglia o De Vrij. Ci sono alcuni pilastri che vanno mantenuti, grazie anche ad un rinforzamento costante della rosa, che ha bisogno di profondità in tutti i suoi ruoli. Non basta prendere un Kishna o un Luis Alberto per fare il salto di qualità sperando di fare il colpaccio: servono colpi mirati e adatti a non far rimpiangere eventuali infortuni o squalifiche: questo perché l’obiettivo deve essere quello di rendere annate come questa una normalità, non un eccezione. Ultimo promemoria, che non ci sentiamo bisogno di giustificare o spiegare: la Lazio, i derby, li ha vinti anche sugli spalti: un’altra vittoria che non veniva conquistata da molto tempo.